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In ricordo di Bernardino Budroni nel giorno del suo quarantaseiesimo compleanno

 

 

Data della morte: 30 luglio 2011

Luogo: Grande Raccordo Anulare di Roma

i fatti:

È l’alba del 30 luglio 2011 quando la polizia apre il fuoco contro l’auto, una Ford Focus, guidata da Dino Budroni, e spara due colpi: uno risulta fatale.

Quella notte Dino è sotto casa della fidanzata nel quartiere Tuscolano. A casa di lei c’è un uomo che poi sparirà dalle scene: sarebbe stato lui a fare la chiamata al 113, dalla quale scatta l’inseguimento delle forze dell’ordine, che coinvolge due auto della polizia e una gazzella dei carabinieri. Un inseguimento che secondo la ricostruzione dei fatti sarebbe avvenuto a 200km/h e negli audio originali si sente un agente che dice “Vagli addosso a questo pezzo di merda”. Secondo la ricostruzione fornita dall’agente Paone la folle corsa si conclude all’uscita Mentana del Gra dopo che lo stesso agente esplose due colpi alle gomme per arrestare la fuga. Molte però sono le cose che non tornano nella ricostruzione dei fatti a partire dai bossoli dei colpi che vengono ritrovati davanti all’auto della polizia, segno che l’agente quando ha premuto il grilletto era già sceso dal veicolo. La macchina di Dino inoltre aveva la prima marcia inserita e il freno a mano tirato quindi era ferma e non c’era più nessuna fuga da fermare. Moto probabilmente Dino aveva pure le mani alzate in segno di resa e conferma di questo la si può trovare nell’audio tra il brigadiere Pomes dei carabinieri e la centrale operativa dove si sente: «Gli hanno sparato nel momento in cui veniva fermato, non poteva più andare da nessuna parte» spiega il militare al maresciallo della centrale, che a sua volta ribatte: «La polizia gli ha sparato dopo che ha fatto l’incidente contro il guard-rail, mi confermi?». E Pomes conferma: «Sì, sì, si è appoggiato (al guard-rail, ndr), ma siccome c’eravamo noi davanti, non è potuto andare via», aggiungendo poi «Ce l’avevo davanti a me, quasi di fianco, mi guardava, gli puntavo la pistola addosso ma solo per non farlo muovere, per intimorirlo, non avevo nemmeno messo il colpo in canna, poi si è accasciato». L’8 luglio 2013 ( due anni dopo la morte) Budroni viene condannato a due anni e un mese di reclusione per rapina e detenzione illegale di armi. Sentenza ripresa in seguito dal Tribunale di Tivoli con ulteriore decreto di condanna al pagamento di una pena pecuniaria. Da aggiungere in ultimo che la tomba di Dino è stata più volte vittima di profanazione.

Il 20 aprile 2017 la Corte d’appello ha stracciato il verdetto di primo grado che condannava in contumacia Bernardino Budroni. In parallelo al procedimento penale avviato per chiarire le responsabilità del decesso, per lui fu stabilita una pena a due anni di carcere e 600 euro di sanzione per aver sottratto la borsetta della stessa ex durante un litigio avvenuto tempo prima, e per detenzione abusiva di una vecchia carabina. Ma non si era potuto difendere. Era morto. Una beffa di poco conto se paragonata al dolore della famiglia per la perdita di Dino, così lo chiamavano parenti e amici, e alla lotta incessante per ricostruire la verità di quegli attimi. Ma anche un giudizio espresso su di lui che per la famiglia può aver influenzato il dibattito pubblico intorno al caso. “Ora mio fratello non è più un pregiudicato” commenta la sorella Claudia lo scorso 20 aprile, giorno dell’appello che ha cancellato il primo grado. “E’ un passo in avanti verso la verità”. Soddisfatta sì, ma non dimentica. “Questa sentenza ha danneggiato la sua immagine e quella della nostra famiglia favorendo l’esito dell’odierno processo e i responsabili della sua morte”. E insiste ancora su quella che ha sempre definito “una strana coincidenza”: “E’ assurdo che il giudice che lo condannò è lo stesso ha assolto Paone in primo grado”.
IL PROCESSO ALLE FORZE DELL’ORDINE – Michele Paone, il poliziotto che all’alba del 30 luglio 2011 sparò e uccise Dino è stato assolto in primo grado il 15 luglio 2014. Un episodio di uso legittimo delle armi secondo quanto riportato nelle motivazioni della sentenza. Per il magistrato il poliziotto avrebbe sparato per interrompere una “grave e prolungata resistenza” dopo la corsa da Cinecittà, dove partì la chiamata dell’allora fidanzata. Opposta la versione sostenuta da Procura e parte civile: non c’era alcun bisogno di fermare l’auto facendo ricorso alla pistola, perchè l’auto, di fatto, si era già fermata. 

A conferma della tesi le registrazioni delle conversazioni tra un carabiniere, che insieme ai poliziotti ha partecipato all’inseguimento e il centralino del 112. In quale circostanza sono avvenuti gli spari? A esplicita richiesta il carabiniere risponde: “Nel momento in cui ci fermavamo”. Poi: “L’abbiamo stretto e lui ha sbattuto sul guardrail e quindi non poteva andare da nessuna parte”. E ancora, in un’altra registrazione, il brigadiere spiega: “Nel momento in cui lo stavamo fermando.. proprio nel momento in cui lo abbiamo stretto, lo stavamo fermando, io ho sentito due botte e ho detto avranno sparato in aria.”

Per la morte di Dino Budroni è in corso a Roma il processo d’appello.

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